Gli animali non umani fanno politica, e resistono. Questo è quanto emerge con chiarezza leggendo Animali in rivolta. Confini, resistenza e solidarietà umana della sociologa statunitense Sarat Colling (a cura di feminoska e Marco Reggio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, pp. 180, € 16).
Partendo da un’idea decolonizzatrice delle lotte per la liberazione, questo libro va completamente a destrutturare la visione dominante secondo cui la capacità di proiettare se stessi e immaginarsi liberi, in maniera cosciente e ragionata, sia un retaggio appartenente solo agli animali umani, mentre a tutte le altre forme di vita animali appartenga solo la capacità della reazione istintiva a rifiutare una condizione di sofferenza. Pertanto, attraverso queste pagine, tanto Sarat Colling, quanto i curatori feminoska e Marco Reggio, abbattono le fondamenta di quell’idea per la quale la resistenza e la politica siano prerogative eminentemente umane mentre a tutti gli altri animali resta solo capacità di occupare quegli spazi di appartenenza passiva attraverso un agire e un vivere esclusivamente istintivo.
In realtà, a ben guardare, la capacità di resistere e, dunque, fare politica, intesa quale capacità di essere compartecipi della costruzione delle dinamiche sociali, tanto da un punto di vista di singolo (unico e irripetibile) quanto come gruppo (sebbene l’individualità dell’essere rimane), e quindi essere portatore di interessi tanto individuali quanto plurali, appartiene a tutti gli animali, umani e non, nel momento in cui esiste la vita dell’essere.
Ma la forza di questo libro, non è solo quella di inquadrare le ribellioni animali all’interno di un’ottica politica, ma anche quella di andare oltre il paternalismo animalista, svuotando così, la lettura della resistenza, di quel colonialismo specista e umanista fin troppo presente nelle narrazioni animaliste-borghesi. Infatti, la chiara interpretazione della lotta animale in senso socio-politico che emerge dalla lettura di queste pagine, va ad attaccare anche coloro i quali si ergono a unici difensori e liberatori degli animali non umani sfruttati o che, come fin troppo spesso si sente, vogliono autolegittimarsi ad essere la voce dei senza voce. Ebbene, laddove gli animali si ribellano, riescono ad essere loro stessi i protagonisti della loro rivolta e resistenza, sono loro stessi a tradurre in lotta l’istanza liberazionista, ossia sono gli stessi che autonomamente riescono a distruggere le gabbie che li imprigionano, dando così un’accezione chiaramente politica alla loro azione che non può essere rinchiusa all’interno dell’idea colonialista, antropocentrica e specista secondo cui solo gli umani riescono e possono essere gli artefici della liberazione animale.
A questo punto la necessità dell’intersezionalità delle lotte dovrebbe essere una conseguenza lapalissiana. Infatti, indipendentemente da ciò che precede l’azione della ribellione animale, il fatto stesso di ribellarsi al potere, ovvero la pratica della resistenza, dovrebbe indurre tutti gli sfruttati, indipendentemente dalla loro appartenenza, a condividere i processi di rivolta contro il dominio e le gerarchie sociali. Questo vuol significare che la molteplicità delle forme di resistenza non può e non deve rappresentare un limite all’intersezionalità delle lotte solo perché queste altre forme di resistenza non siano uguali alle nostre: ciò che deve spingere a unire le resistenze è il fatto stesso di ribellarsi al potere e alle gabbie dell’oppressione.
Sarat Colling prende in esame alcune ribellioni avvenute a New York per esaminare e raccontare, attraverso uno studio scientifico, gli impatti che la resistenza animale produce sullo spazio cittadino e urbano, ossia spazi altamente antropizzati e antropocentrici. Con i metodi propri dei Critical Animal Studies, la sociologa statunitense ha confutato dalla radice le storie dell’alto, ossia quelle espresse da chi detiene il potere al fine di riprodurlo, attraverso la narrazione di quelle che sono le storie dal basso, ovvero cercando di raccontare la rivolta animale stando dalla parte dei protagonisti delle rivolta, contribuendo così a dare una lettura allargata e non antropocentrica della geografia sociale e delle interazioni collettive e intersezionali.
Un libro che non può assolutamente mancare nella libreria di chi vuole trovare degli spunti di riflessione importanti per le teorie antispeciste.
Nicholas Tomeo